La 30esima conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è aperta a Belém, nell’Amazzonia brasiliana, ha messo sul tavolo la battaglia sull’urgenza e i mezzi per contenere il riscaldamento globale. “È ora di infliggere una nuova sconfitta ai negazionisti”, ha dichiarato Luiz Inacio Lula da Silva all’inizio delle due settimane di conferenza – a cui non partecipano gli Usa – sottolineando l’importanza dell’azione multilaterale.
Il presidente brasiliano ha ribadito che investire per il clima – punto di eterna disputa in questa sede – costa “molto meno” delle guerre. Con la volontà di evitare il fatalismo: “Stiamo andando nella direzione giusta, ma alla velocità sbagliata”.
Gli Stati Uniti, primo produttore mondiale di petrolio e secondo emettitore di gas serra, sono assenti per la prima volta nella storia di questi incontri.
Questa Cop, la prima in Amazzonia, riunisce meno partecipanti rispetto alle edizioni precedenti, con 42.000 accreditati.
“Lamentarsi non è una strategia, abbiamo bisogno di soluzioni”, ha affermato Simon Stiell, capo dell’Onu Clima, che organizza la Cop30 insieme al paese ospitante. Ha accolto con favore un piccolo passo avanti: includendo le ultime roadmap climatiche presentate da alcuni paesi, la riduzione delle emissioni entro il 2035 sarà del 12%. Ancora lontano dall’obiettivo, ma leggermente migliore del 10% annunciato di recente su una base più limitata. “Ogni frazione di grado di riscaldamento evitato salverà milioni di vite e eviterà miliardi di dollari di danni climatici”, ha sottolineato Stiell.
La richiesta dell’Onu, però, è che i negoziati producano risultati più concreti: maggiori impegni per abbandonare le energie fossili, sviluppo delle energie rinnovabili e invio dei fondi promessi ai paesi poveri per aiutarli ad affrontare un clima più violento.
Il tempo stringe, ricordano gli scienziati. Jim Skea, presidente dell’Ipcc, il gruppo di ricercatori che lavora sul clima sotto l’egida dell’Onu, ha giudicato “quasi inevitabile” superare a breve termine la soglia di 1,5 °C di riscaldamento, l’obiettivo più ambizioso fissato dall’accordo di Parigi nel 2015.
Un gruppo di piccole isole sta lottando per inserire nell’ordine del giorno la necessità di formulare una risposta a questo fallimento, ma il gruppo dei paesi arabi e altri si oppongono, temendo un nuovo attacco al petrolio.
La Cop30 si articolerà su sei pilastri: transizione energetica, industriale e dei trasporti; gestione di foreste, oceani e biodiversità; trasformazione dell’agricoltura e dei sistemi alimentari; adattamento e resilienza per città, infrastrutture e acqua; sviluppo umano e sociale; finanza e implementazione. Tra gli obiettivi del presidente brasiliano c’è anche quello di promuovere una sua proposta, il Tropical Forest Forever Facility (Tfff), un meccanismo di finanziamento multilaterale per sostenere la conservazione delle foreste in pericolo e delle popolazioni che le abitano.
La conferenza di Belém riprende il filo della Cop29 di Baku, in Azerbaigian, dove i Paesi si sono impegnati a mettere a disposizione 300 miliardi di dollari all’anno, fino al 2035, per dare una mano ai Paesi del cosiddetto «Sud globale», per ridurre le emissioni. La sede della Cop31, invece, non è ancora stata decisa: il braccio di ferro è tra Australia e Turchia. Se non si arriverà a un accordo la conferenza si terrà a Bonn, in Germania.










