È un viaggio lungo e appassionato, che percorre tutta la nostra penisola quello in cui ci conduce Serenella Iovino, saggista e docente di Environmental Humanities alla University of North Carolina, autrice del saggio “Paesaggio Civile” pubblicato da Il Saggiatore. Il libro si dipana fra paesaggi variegati passando dalla vecchia Gibellina, su cui oggi si posa il Cretto di Burri, alla peculiare bellezza di Venezia, dalla regione delle Langhe, narrate nella loro durezza da Nuto Revelli, ad una Napoli porosa, sia geologicamente che culturalmente, attraverso tufo e storia.
Ciascuna delle quattro parti che compongono l’opera esamina uno o più paesaggi italiani, provando a restituirne la verità attraverso una lettura non fallace di questi, abbinandoli a parole chiave polisemiche che percorrono le molteplici prospettive e discipline necessarie all’interpretazione completa della “materia dotata di storie” (storied matter) che promana dai paesaggi stessi.
La tesi fondamentale del libro, che vi fa da sfondo, è che «il corpo del paesaggio, insieme a tutti i corpi» che lo costituiscono, forma «un testo, un grande racconto materiale».
Percorso fra paesaggi geograficamente differenti ma non solo, con storie specifiche, proprie ad ogni territorio, una diversità che rivela i differenti approcci antropologici ad esso.
Perché il territorio non può essere visto solo come spazio geografico o esperienza estetica, la bellezza non è il metro unico nella definizione di un paesaggio, ma esso è determinato dalla fitta trama di influenze reciproche fra natura, comportamenti umani, politica e storia che plasmano insieme uno spazio naturale in un determinato paesaggio. Il paesaggio diviene così sintesi fra uomo e natura, fra personale e impersonale, che mette insieme parti distinte di un tutto, con un approccio che dà vita ad esso e lo anima delle storie, personali e collettive, che vi hanno impattato segnando e modellando la nostra identità. Come sottolinea l’autrice «I paesaggi sono testi […] perché attraverso di essi possiamo leggere le storie di relazioni sociali e rapporti di potere, equilibri e squilibri biologici, il concreto prendere forma di spazi, territori, vita umana e non umana», lei stessa definisce questo libro come ecologista, ma nel senso etimologico del termine: ritornando all’ecologia come discorso (logos) della casa (oikos), che insieme al territorio si fanno intreccio di materia e storie.
Tuttavia, per l’autrice il Paesaggio è anche orizzonte politico, raccontando violenze e abusi attraverso cui esso viene sfigurato o trasformato, ma nonostante ciò non si possono dimenticare i gesti di resistenza delle popolazioni, i cui sogni e speranze, spesso incarnati in progetti artistici, si oppongono a tali violenze. L’atto creativo dell’arte e della letteratura si fa risorsa fondamentale per il raggiungimento di ciò che è definito dall’autrice “giustizia cognitiva”, ovvero «una forma radicale di giustizia basata sul diritto di conoscere e agire di conseguenza». In questa maniera il racconto della catastrofe e delle sue ferite aprono la via per tornare a vivere, narrando la lacerazione con chi ci ha preceduto generata dalla distruzione morale e materiale del paesaggio comune ad una comunità: ripensando uno spazio, mentale e materiale, perduto e trasformando «il lutto in cognizione».
Fulgido esempio di tale percorso è Gibellina, paese raso al suolo dal terremoto di Belice (Sicilia). Gibellina è rinata come laboratorio artistico sperimentale all’aperto, il cui simbolo più celebre è il Cretto di Alberto Burri, “città metafisica” ed opera di land art che copre l’intera area del paese distrutto a seguito del terremoto, in una città che plasma una sua nuova identità per reinventare il legame con il passato.
Progetti artistici che si oppongono agli abusi del Paesaggio con anelito di riscatto, in quell’infinito scambio fra popolazione e territorio, uomo e natura che segna la sua imprescindibilità.
Filippo Maria Mazza